Il rifiuto di sottoporsi a visita medica diretto a contrastare l’illegittimo demansionamento è sanzionabile con il licenziamento in tronco (Corte di Cassazione, ordinanza 6 settembre 2022, n. 26199)

La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta in una vicenda inerente al licenziamento per giusta causa di una dipendente, la quale si era rifiutata, per ben due volte, di sottoporsi ad una visita medica preventiva e prodromica alla assegnazione di nuove mansioni. Il rifiuto era volto a contrastare un illegittimo demansionamento, atteso che le nuove mansioni erano state ritenute dalla dipendente non conformi alla qualifica rivestita e al proprio percorso professionale e non compatibili con le proprie condizioni di salute.
La Corte di Cassazione – in linea con il giudice di merito – ha ribadito che la visita medica di idoneità prevista nei confronti del dipendente per cambio delle mansioni è prescritta per legge (art. 41 co. 2 lett. d), D.LGS. n. 81/2008) e, dunque, la richiesta di sottoposizione a visita, da parte del datore di lavoro, prima della assegnazione alle nuove mansioni, non è censurabile essendo un adempimento dovuto.
Secondo la Corte, dunque, il rifiuto opposto dalla lavoratrice configura una grave insubordinazione che rende illegittimo il comportamento omissivo della dipendente e non giustificabile ai sensi dell’art. 1460 c.c. perché «da un lato, il datore di lavoro si era limitato ad adeguare la propria condotta alle prescrizioni imposte dalla legge per la tutela delle condizioni fisiche dei dipendenti nell’espletamento delle mansioni loro assegnate e, dall’altro, la dipendente avrebbe ben potuto impugnare un eventuale esito della visita, qualora non condiviso, ovvero l’asserito illegittimo demansionamento, innanzi agli organi competenti».
La norma invocata dalla stessa ricorrente, relativa all’eccezione di inadempimento, precisa la Cassazione, è invece applicabile «solo in caso di totale inadempimento del datore di lavoro o in ipotesi di gravità della condotta tanto grave da incidere in maniera irrimediabile sulle esigenze vitali del lavoratore medesimo».

Si ricorda come sul punto la Corte di Cassazione si era già espressa in modo analogo qualche mese prima con la sentenza n. 22094 del 13 luglio 2022.

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