Nell’ambito di un rapporto di lavoro, può capitare che il datore di lavoro non abbia correttamente erogato in busta paga degli importi oppure che il lavoratore rivendichi delle differenze retributive o di inquadramento. In questi casi, il lavoratore può esercitare il diritto a richiedere tali somme, salvo che gli importi non risultino prescritti: cioè che non sia scaduto il termine legale entro il quale il lavoratore può esercitare un’azione giudiziaria per richiedere il pagamento di quanto a lui spettante.
Nell’Ordinamento esiste, un termine di prescrizione ordinario della durata di dieci anni (e ad esempio riferibile, in ambito giuslavoristico, al diritto alla qualifica superiore), ed un termine di prescrizione della durata quinquennale relativo a molteplici diritti del lavoratore (principalmente il diritto delle retribuzioni periodiche da pagarsi periodicamente ad anno o in termini brevi ex art. 2948 n.4 cod. civ.).
Nello specifico si ricorda che:
la prescrizione decennale o prescrizione ordinaria riguarda:
– i crediti del lavoratore aventi carattere risarcitorio;
– un risarcimento di ogni danno patito dal lavoratore per un’inadempienza contrattuale del datore di lavoro (esempio, in caso di mancato versamento della contribuzione (art. 2116, c. 2, c.c.), licenziamento illegittimo, per mancata fruizione di ferie o del riposo settimanale, danno all’integrità psico-fisica del lavoratore;
la prescrizione estintiva quinquennale o prescrizione breve riguarda:
– crediti di natura retributiva con periodicità annuale o inferiore (es. retribuzione ordinaria) compresi eventuali interessi, il compenso per lavoro straordinario, le retribuzioni per festività nazionali, e ogni altro credito di lavoro;
– le indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro, quali il TFR e l’indennità sostitutiva del preavviso;
– il risarcimento del danno da fatto illecito extracontrattuale.
Nel nostro Ordinamento, oltre alla “prescrizione estintiva” (che decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere o dal momento in cui l’evento dannoso si è verificato nel caso di risarcimento da danno contrattuale) vi è anche la “prescrizione presuntiva” ovvero quando viene invertito l’onere della prova, ossia l’inerzia del creditore/lavoratore per un certo periodo di tempo, fa sorgere la presunzione che il credito risulti interamente soddisfatto. Quest’ultimo caso riguarda le retribuzioni con periodicità non superiore al mese, con prescrizione presuntiva annuale ex art. 2995 n.2 cod. civ. e di quelle con periodicità superiore al mese, con prescrizione presuntiva triennale ex art. 2956 n.1 cod. civ.
Tuttavia, se, in linea di massima, la prescrizione estintiva inizia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere (o dal momento in cui l’evento dannoso si è verificato nel caso di risarcimento da danno contrattuale), esistono casi particolari quando si tratta di crediti retributivi pagati con periodicità annuale o inferiore. In questi casi la giurisprudenza considera una diversa decorrenza a seconda se sussista o meno la stabilità del rapporto di lavoro. Questo perché, nel caso in cui non vi è stabilità, sussiste una sorta di sudditanza psicologica che permane per tutto il rapporto di lavoro che non permette al lavoratore di avanzare delle richieste di pagamento; motivo per cui, in tali casi, la decorrenza ha effetto dalla data della cessazione del rapporto di lavoro.
Prima dell’entrata in vigore della Riforma Fornero (legge n.92/2012) tale sudditanza veniva identificata con la sussistenza o meno della “tutela reale” ex art. 18 dello Statuto dei Lavoratori collegando tale situazione al limite dimensionale dell’azienda (≥ / ≤ 15 dipendenti ridotto a 5 dipendenti per il settore agricolo). In queste situazioni, dunque, era ammesso il normale decorso della prescrizione anche in costanza di rapporto.
Per vero, sul punto, la giurisprudenza di legittimità, aveva comunque precisato che, al di fuori dei casi di stabilità, la decorrenza o meno del termine prescrizionale fosse comunque subordinata ad una verifica circa la condizione del lavoratore e la reale effettività del timore reverenziale «con riguardo al corretto atteggiarsi del medesimo in relazione all’effettiva esistenza di una situazione di meteus del lavoratore» (Cass. Sez. Unite sentenza n.4942/2012).
Alla luce delle modifiche apportate dalla legge n.92/2012 all’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori – operative dal 18 luglio 2012 – e con l’entrata in vigore, soprattutto, del D.lgs. n.23/2015 è necessario distinguere i lavoratori a seconda siano stati assunti prima o dopo il 07 marzo 2015.
Infatti,
– per i cosiddetti “vecchi assunti” (ai quali è applicabile la disciplina di tutela dei licenziamenti illegittimi introdotta dalla Riforma Fornero) la prescrizione dei crediti di lavoro decorre in costanza di rapporto di lavoro, se l’illegittimità del licenziamento è sanzionata con la reintegrazione nel posto di lavoro, invece dalla cessazione del rapporto, se il recesso illegittimo viene ristorato da una indennità di natura economica.
– per i cosiddetti “nuovi assunti”, per l’ovvia ragione che le riforme intercorse hanno progressivamente ridotto la “tutela reale”, essendo ormai residuale il rimedio reintegratorio, i termini della prescrizione decorrono dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Per ciò che concerne invece la decorrenza del termine di prescrizione dei diritti diversi dalla retribuzione periodica, quale ad esempio il diritto al riconoscimento della qualifica superiore, il termine di prescrizione decorre anche in costanza del rapporto di lavoro indipendentemente che sia assistito o meno da stabilità.
avv. Roberta Barsanti